L’eterno ritorno

Bologna, 2006

Mi hanno invitato a “Strade Blu”, una mostra collettiva di arte contemporanea nella Provincia di Bologna, mi hanno proposto, per esporre la mia nuova opera, il giardino della GAM di Bologna e mi è stato chiesto di trovare un critico che scrivesse sulla mia opera. Ho pensato ad Anna Maria Franchini e a Lisa Bentini. Con la prima farò un breve dialogo; la seconda, invece scriverà un testo sull’opera inedita Villa.

Ho chiamato Anna Maria Franchini e le ho parlato della faccenda. Mi ha manifestato qualche dubbio, mi ha confessato subito che le questioni contemporanee non l’hanno mai molto interessata e che forse si sente un po’ distante da certi argomenti. Ho replicato che da qualche anno molti sostengono che il tempo attuale sia attraversato da continui sconfinamenti, ibridazioni, contaminazioni e contatti vari e poi un dialogo è certo più semplice di un testo. Ha accettato.

Esporrò Villa che sto facendo in questi giorni. Sarà una grande costruzione senza tetto, più alta della figura umana, circa tre metri e mezzo. Lunga sui sei metri larga sui tre. Quasi diciotto metri quadri di erba verde, perimetrati da vecchi ferri, o ferri vecchi. Villa è costituita da tante parti di ringhiere, balconate, cancellate, inferriate che ho raccolto in questi anni. Una specie di recinto parlante di decori e i disegni di tanti pezzi di ferri battuti, scampati all’ecatombe della guerra, alla voracità della Patria, ai nuovi recinti zincati. Erano di ville di campagna, di case che dicono di storie complesse di famiglia. Ho deciso di farlo rosa, rosa antico, cenere, quei rosa desueti, degli intonaci delle case severe che ho visto in Liguria, con le ortensie nel giardino. Ecco, così… che te ne sembra?

A prima vista mi appare come un terribile strumento di tortura. Mi si sdoppia, non è più a terra ma alto contro il cielo. Ora lo vedo chiaramente: sono due uguali appese ai bastioni prima della porta di una città medievale dalle mura possenti. Penso ora ad una voliera di uccelli rari. O a un forziere sottomarino, un relitto, la cui parte di legno si è sciolta e resta un esoscheletro. Comunque la si guardi questa grande gabbia è interessante perchè non è frutto di regole precise, geometriche legate a tecniche ubbidienti a numeri o ad angoli fissi. Come dici sa di ville di campagna che erano recinte da bellissime cancellate.

Hai sempre dedicato molto tempo, nella tua vita, all’arte. Hai visitato musei di mezzo mondo, monumenti, aree archeologiche. Una grande passione per l’arte. L’arte antica; l’arte moderna meno, vero? E perché?

Fino all’ottocento l’arte è copia della realtà: tanto più ritrae il vero illudendolo, tanto più piace. Che dire dell’arte contemporanea? E’ una ricerca per denunciare, affermare quasi gridare agli uomini tutti e all’umanità intera la presente realtà molto amara. Scomporre, divedere, segnare, evidenziare qualcosa è assai lontano dalla normale comprensione. E’ più difficile leggere il messaggio dell’arte moderna: troppo spesso l’analisi mi incute tristezza, perfino paura, mentre l’arte dei miei studi mi placava, mi dava pace e serenità; mi pareva di poter entrare nel suo mistero, nuova Alice in un mondo magico. Ora mi sento fuori, un poco sprovveduta e rattristata: provo dentro di me tutti i mali del mondo come se stesse per giungere la fine. Dirò di più talvolta davanti a certe opere mi chiedo il perchè di tanta tristezza e vorrei che almeno qualcuna fosse un inno di gioia, inneggiasse alla vita, ci strappasse un sorriso o una speranza e invece no, ci indicano con gesti decisivi un nero futuro verso abissi e una catastrofica fine.  Almeno questa tua opera che pure è fatta di ferri, col suo delicato colore, mi è dolce e mi porta a pensieri sereni e a un passato lontano e felice.

Della Franchini ho trovato poi molti fogli scritti a mano, non sempre numerati, su vari supporti – brogliacci precari, bloc-notes di fortuna, retro di calendari, qualunque dietro di fotocopie preesistenti – spesso simili. Questo testo che segue mi è sembrato uno dei più interessanti, scritto attorno al 2001.

… chissà perchè la mia voce al telefono o quando leggo, ancora piace: capto che se è un uomo all’altro capo del filo, è interessato, crede in una voce giovane, accattivante, perfino piccante che promette una donna senz’altro giovane, bellina, forse sexi, comunque da “coltivare”; invece ero una ragazza scialba, bruttina all’acqua e sapone con poco seno, magra e per nulla sexi, neppure piacevole; perchè? ero curiosa: desideravo, sognavo “cultura” sotto ogni sua forma: prima l’arte del parlare, conoscere bene la propria lingua, ogni soffio di grammatica e poi da lì il salto al latino, il greco, il tedesco, lo spagnolo, tutte lingue robuste, ricche di sintassi: poi la filosofia come studio dello spirito, la ricerca dell’anima o almeno della psiche… i perchè sempre insoluti della vita e della morte. Conoscere la psicologia, come nascono i pensieri, il buono e il cattivo, il bene e il male che covano nella mente che talora esplodono con violenza, proprio contro chi più si ama e se si crede di conoscere un po’ la psiche, ecco il desiderio di sapere tutto sul corpo: la medicina come fisiologia, ma anche come l’insorgere del male fin dalle cellule: e ti appare un mondo al microscopio. Di lì poi ti viene voglia del telescopio e dello studio delle stelle come altri mondi. Ecco ed ero (e lo sono in parte ancora) convinta che per “fare” una donna occorrano sei-otto uomini. Vedevo i miei amici studenti troppo spesso vanesi, disinteressati o meglio tesi ad ottenere il massimo voto col minimo sforzo… desiderosi di arrivare alla laurea per poi fare soldi. Non ho mai conosciuto ( e ne conoscevo tanti) un ragazzo che amasse come me quello che studiava per puro amore di conoscenza. Intanto leggevo tutto quello che mi capitava, andavo in biblioteca… per il greco misi gli occhiali ed allora divenni ancora di più “tipo zitella”. Ora invece -fuori tempo- gli occhiali piacciono. Eppure ero così ricca “di dentro” ma non sapevo né vestirmi e né pettinarmi. L’abito non fa il monaco, altroché, ne fa cento, mille. Guardate come tutte le signore che frequentano per varie ragioni la tivvù godano delle cure preziose di schiere di visagisti, massaggiatori, parrucchieri, estetisti… escono sulla scena per il gran pubblico ringiovanite, appetibili e con almeno l’illusione di dieci anni di meno. Come passa veloce il tempo: se appena mi alzo, incontro per casa uno specchio grande, mi aspetto di vedermi con i capelli neri folti e ricci… non è che mi sia appena risvegliata da un sogno, è che proprio talvolta “sento” di essere quella di una volta: quella ragazza tenace e decisa che voleva seguire il liceo classico Galvani, continuare all’università la facoltà di lettere e poi partire per una zona archeologica lontana, dopo aver seguito le magiche lezioni della L.L. sul Perù arcaico. Qualche volta quando, dicevo, mi vedo allo specchio, cerco me stessa e non mi ritrovo. Chi è quella donna già anziana (che veste in colori troppo spesso chiari, luminosi, come ancora amante del sole e della luce) che mi guarda con occhi cerchiati di rughe di capelli radi e tinti? Se è tanto cambiato “l’involucro”, anche l’anima dentro, i pensieri, i ragionamenti, la stessa intera personalità sarà mutata! Non sei più tu, povera amica mia, chi ti ha cambiato così? Perchè ti sei arresa, hai chinato il capo, ti sei lasciata mettere il giogo come un povero animale da tiro, vinta da un’altra razza più potente? Hai ceduto, perché? Dove sono finiti i sogni che eri ben decisa a realizzare? Tutto d’un tratto ti sei accorta che il bisogno più impellente era quello di un figlio tuo da mettere al mondo perché durasse dopo di te, ed essendo maschio, forse, gli sarebbe stato più facile realizzare i suoi pensieri forse affini ai tuoi. Che fatica trovargli un padre: su questo, vista la gente che mi trovavo intorno, le mie idee già allora erano assai simili a quelli della star Madonna, solo che io non ero nessuno e l’epoca molto prematura. Così trovai il “meno peggio”: bastò che apparisse (chissà se lo era davvero) un poeta, o almeno uno scrittore autodidatta e lo sposai. Così ho capito meglio la forza e l’eternità dei versi e dei grandi: da Omero a Dante: per esempio l’addio di Andromaca (certe volte ti senti tu Andromaca). Questi grandi hanno saputo esprimere i tuoi sentimenti e così impari che proprio i sentimenti, le gioie, i dolori sono gli stessi nei millenni, anche se razionalmente o socialmente invenzioni o scoperte mutano e migliorano la società, però tu, “dentro nel tuo io”, sei simile all’uomo o alla donna del passato; si dice: il cuore non mente! C’è ad esempio quel ciclo di due libri del Verga: I vinti cioè I Malavoglia  e Mastro don Gesualdo. Ebbene anch’io sono una vinta dalla vita. Cosa ho fatto o concluso? Ho detto prima che non ho avuto una vita felice. Chissà poi cosa s’intende per felicità, forse è solo una pretesa, un lusso che difficilmente si può spartire con qualcuno. Conoscersi e gioire dei propri pensieri. Insomma lavorare mentalmente sul proprio io, così da essere soddisfatti di sé. Infine: bastare a se stessi; e ciò non è facile, considerando che si è spesa una vita socialmente e farebbe tanto piacere scambiare idee e pareri, oppure talvolta silenzi con una persona che ti capisce e che almeno in qualche momento possa diventare un tuo “alter ego”. Ho saputo che molti vecchi muoiono senza accorgersene nel sonno. Ma che bella e placida uscita dal mondo! Di ciò parenti e amici si dovrebbero rallegrare perchè poi una buona morte, dopo una lunga vita giusta e positiva dovrebbe essere una festa per il ricongiungimento di quella bell’anima al padre, alle origini, alla vita vera. A che dunque lacrime, funerale tetro? Una bella festa con vesti bianche, inni, cori di grazie e tante preghiere serene e gioiose di accompagnamento da parte di parenti e amici, sperando di avere in cielo un “essere propizio”, un avvocato presso dio padre… non si sa mai! Insomma quasi una festa di sposalizio o almeno la gioia terrena che vede un fratello-sorella sistemato per sempre nella luce, nella felicità, nell’amore ultraterreno del padre.

Anna Maria Franchini (Bologna, 1931-2016) si è laureata nel 1956 in Lettere Classiche e poi nel 1958 in Lettere Moderne all’Università di Bologna. Compie subito vari viaggi attraverso l’Europa. Per quasi quarant’anni ha insegnato alle scuole statali. È stata mia madre per quasi 50 anni, è morta a fine marzo del 2016.

Dico è stata mia madre, non perché adesso non lo sia più, ma perché dopo la sua morte è stato tutto più leggero, non ho più quel pensiero della sua presenza, così ingombrante, pesante, quasi indicibile, direi anche ossessivo e come se anche la parola madre avesse perso il suo ruolo. Direi che è stato un rapporto di tipo santo, giusto per intendere non ascrivibile alla realtà umana, riconducibile a una strana setta, nonostante tutto lontana dal cristianesimo, ma meno distante da certe forme di devozione e attaccamento tipiche dello shiismo islamico, dove certi estremi si avvicinano e dove regna, anche nel più spensierato momento quotidiano, in fondo una consapevolezza di ingiustizia, sconfitta e fallimento.

Testo pubblicato su Antinomie il 22 aprile 2020.

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