I mercanti

Testo proposto alla redazione cultura di Repubblica (ed. Bologna) e non pubblicato.

Marco 11,15-17: 15 Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 16 e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. 17 Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!». Matteo 21,12-13: 12 Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 13 e disse loro: «La Scrittura dice: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri». Luca 19, 45-48: 45 Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, 46 dicendo: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!». 47 Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; 48 ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole. Giovanni 2, 13-16: 13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato! ». Letture consigliate prima di visitare il Presepio dei Commercianti, detto anche dai petroniani, Presepe Ascom.

Bologna. Lo stato dell’arte

Nella recente intervista l’ex Magnifico Rettore dice soprattutto una cosa – o lo dice il titolo dell’intervista -: che l’arte fa molta fatica e bisogna investire e anche che si sta perdendo la cultura e l’artigianato. Ne parla come se tutte queste cose appartenessero ad un unico ambito, condiviso. Ci sono invece almeno tre grandi emisferi distanti fra loro, con diversi linguaggi e modi di pensare che a volte s’incrociano, ma sono spesso in conflitto: quello dell’arte del passato, del gusto classico, conservatore contro la generale volgarità dell’oggi, quello diciamo neo-positivista (Chiesa compresa) dove l’arte, tutta, ha un valore col segno più: bellezza ed eccellenza vanno sempre a braccetto con utilità e lavoro: l’arte serve per un generale benessere e accompagna il successo e si intreccia col design e l’artigianato (e qui pure col cibo). E quello dell’arte contemporanea, più consapevole, che oscilla fra la lezione delle Avanguardie e del Novecento e le Biennali in giro per il mondo, ma sempre tallonata (definitivamente?) da gallerie snob e vip cards. Detto questo, considerando che il tempo popolare e populista (non è il momento della Street Art?) ha il suo peso, non si può pensare che la questione sia se il turista vada o meno a vedere il Cimabue o Il Compianto (ma è veramente così percepibile l’effetto sul territorio delle folle che tutti i santi giorni invadono la Cappella Sistina o gli Uffizi? E così Roma o Firenze non dovrebbero essere di conseguenza investite da tale lucente cultura invece che essere rispettivamente simbolo di degrado e di provincialismo nobil-bottegaio?) perchè questi rappresentano soggetti improponibili all’oggi e rimangono solo come svago piacevole senza bucare la nostra esistenza. Il magnetismo dell’immagine sacra-arcaica su fondo oro oppure del Cristo morto (c’è oggi un soggetto più scarico e desueto?) o delle donne che piangono, giacciono in una griglia a comparti stagni che ci ostiniamo ancora a chiamare bellezza.