Italia e Bologna

L’anno scorso ho telefonato a Enel per il contratto del mio nuovo studio a Savigno.
La gentile signorina mi chiese quale attività svolgessi. Scultura e pittura, artista risposi, del resto da vent’anni non faccio altro. L’addetta di Enel disse che non esisteva la voce artista e mi pose subito una domanda senza scampo: la metto fra gli artigiani o i liberi professionisti? Per Enel, come in generale per il Belpaese, l’artista è una persona non reale, che non esiste e comunque non ha bisogno di energia elettrica. L’arte attuale è una cosa lontana, che ogni tanto va giusto ricordata. Bisogna infatti sapere che nella cultura di massa del popolo italiano l’idea di arte del proprio tempo è ancora legata indissolubilmente alla scena del film Le Vacanze Intelligenti con Alberto Sordi alla Biennale di Venezia. Il fatto che molte opere di artisti viventi vengano vendute a cifre più alte delle quotazioni dei nostri Maestri del Passato, ha però incuriosito la classe dirigente del nostro Paese che ogni tanto si accorge che l’arte contemporanea esiste; solo davanti a certe cifre la faccenda non può che diventare seria. Nel 2005 ci fu la mostra Bologna Conteporanea alla GAM, una mostra generale per censire quasi settanta artisti degli ultimi decenni. A distanza di undici anni la città si propone la stessa domanda con una modalità differente, un chiaro segno dei tempi: la retrospettiva dell’arte bolognese si tiene in un museo privato, proprio mentre al Mambo, la galleria comunale, c’è David Bowie, un’esposizione fatta di qualche centinaio di oggetti che non sono opere d’arte (e se ce ne sono non le ha fatte Bowie) insieme al suo shop itinerante e varie amenità.
Visto la natura di questa mostra –che veniva dal Victoria and Albert e non certo dalla Tate Modern- in una città normale sarebbe dovuta andare a Palazzo Fava –adatto alle mostre viaggianti, di cartello e globali, quelle insomma che piacciono all’Ascom- mentre invece quella sull’arte di oggi nella sede comunale.
Ogni due lustri -un artista in salute ne può timbrare anche sette-, Bologna, che ha in uno dei suoi simboli una scultura in bronzo, si accorge che si fa dell’arte in città e che bisogna farla vedere, anche se oggi, come allora, non ci sono fondi per produrre opere inedite. Bologna Dopo Morandi si sarebbe dovuta mostrare nella sede istituzionale del Mambo, con incontri, dibattiti e discussioni – a che serve un museo se non ci si incontra e non si discute?- chiara scelta culturale e politica –sì perchè l’arte è anche politica-, in uno spazio progettato per l’arte di oggi con ampie sale e senza i soffitti a cassettoni, i caminetti e la potestà dei Carracci in mezzo. Si legge poi che la mostra nel Palazzo delle Esposizioni bolognese chiuderà proprio prima di Arte Fiera, l’unico periodo di scambio col mondo contemporaneo in città. Ma non è per questo motivo che ho rinunciato all’invito ad esporre nella bomboniera di Palazzo Fava.

One Pound

La cancellazione è un tema costante e ricorrente della mia vita.
Le immagini censurate, private, oscurate, coperte, tamponate, sono immagini attraenti e che metto in relazione al piacere oltre che al conflitto.
A volte penso che il mondo si divida in due: fra chi ha un sussulto nel vedere una targa coperta da una plastica nera o le scalpellature sopra dei bassorilievi egizi, antiche damnatio memoriae, e chi invece no. Davanti a insegne oscurate, col marchio-logo coperto da vernice o teli ho sempre avuto un impeto: riconosco una complessità formale da indagare, ma soprattutto da contemplare.
Alla stazione Centrale di Milano, dopo la fine dei binari, sul muro sopra la porta principale, c’è una grande macchia, un segno astratto deciso, avvenuto per caso, assolutamente magnifico.
Raccolgo da tempo francobolli e banconote con errori.
L’errore sulla carta moneta da una sterlina –in fase di stampa c’è stata una piega imprevista del foglio successivo per cui l’inchiostro non ha colorato parte della faccia di Elisabetta II- mi ha ricordato una delle immagini più dense che ho incontrato, la copertina del disco God save the Queen del gruppo Sex Pistols del 1977, dove gli occhi e la bocca della Regina furono censurati con le scritte e che sembra quasi un negativo di certi costumi indossati dalle donne nell’islam di oggi.
Non è un caso che la banconota da una sterlina sia britannica.
Nella mia storia familiare la perfida Albione ha avuto un ruolo culturale importante.
Dal tè all’impermeabile – quando Burberry era una casa di moda in declino per signori- i miei nonni hanno sempre avuto un rapporto speciale con la Gran Bretagna.
La zuppa inglese –dolce tradizionale bolognese- naturalmente ci univa all’Inghilterra e anche se nella casa di campagna non riuscivamo mai ad avere un prato come loro, la carne all’inglese o il rosbif –come lo chiamava mia nonna Tosca- era la sola ricetta non bolognese ammessa in tavola. Mio nonno amava il Regno Unito perché in fondo amava l’Impero e poi aveva rifatto la casa danneggiata dai bombardamenti vendendo le colonie inglesi.