La Maserati fast and slow

Testo proposto alla redazione cultura di Repubblica (ed. Bologna) e non pubblicato.

Lo stellato chef Massimo Bottura parcheggia una fiammante Maserati davanti al suo locale prima dell’arrivo dei due importanti ospiti per la cena, Matteo Renzi e Francois Hollande, ma trova una multa (sarà solo per il divieto di sosta?).
Il grande cuoco commenta: il mio unico scopo era quello di mettere in mostra una eccellenza del nostro territorio. Sul sito online della Maserati, si nota una pagina: lo Chef modenese e la Casa del Tridente: il connubio perfetto tra “slow food” e “fast car”. Ho sempre avuto un grande rispetto e ammirazione per i creativi della pubblicità e della comunicazione che devono spesso inventarsi di tutto, e di più, per indorare la pillola. Mi si perdoni l’immaginazione, ma già vedo, visto che il connubio è perfetto, Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, inebriato dalla Maserati Life.
In Italia, se mai stessimo vivendo in un periodo, questo sarebbe quello dello Slow Food, il pensiero che da trent’anni ha cambiato il modo di vedere il cibo e non solo quello. Non è stata una grande invenzione – tutti noi siamo stati cresciuti ed educati alle tradizioni della cucina locale, le cose semplici e buone sono le migliori e questa forse è la grande (e sola?) differenza che ci contraddistingue dal mondo intero – ma è stata grande l’intuizione di renderci consapevoli. Il merito è stato quello di fare capire al paese intero del tesoro che abbiamo, di farne uno stile di vita e anche una visione del mondo. Molti non sapevano, anche se ce l’avevano in casa da secoli, di avere delle olive e dell’uva uniche per fare un olio e un vino eccellente. E l’attenzione alle biodiversità, le qualità minori piccole e brutte snobbate da sempre e rivalutate e riscoperte come grande patrimonio. Dire qualcosa oggi – di interessante – sulle auto fast diventa un po’ più difficile, soprattutto se si ha un punto di vista slow. Certo, la storia del territorio e dei motori, l’Emilia del triangolo che non è più rosso come una volta, ma è grigio pistone, il fiore all’occhiello dell’industria, ma senza il mito della velocità tutte queste bellezze non stanno tanto in piedi. Se si va fast non si va slow, se si va slow non si va fast.
E non è questione di snobismo, di eccessiva rigidità o di contestare un meritato lusso e nemmeno quello del problema della sostenibilità. La questione qui è nel significato.
Dietro l’immagine delle macchine potenti, sportive e di lusso ci sta una filosofia che è semplicemente agli opposti di quella dello Slow Food. Che poi – Michele Serra ci scrisse un’amaca – la maggior parte dei clienti dei ristoranti Slow Food abbiano una filosofia di vita più vicina a quella delle macchine sportive è un segno di questi diabolici tempi, come del resto ci mostra la foto di quella serata: i due premier della sinistra europea in un ristorante di lusso (il lusso ha a che fare col superfluo, mentre il cibo di Bottura ha ingredienti veri, esesenziali, insostituibili, della tradizione popolare e di provenienza povera) dal nome sibillino La Francescana con all’entrata un’auto fast che si chiama Ghibli come il vento del deserto libico (sic!) nel centro storico di Modena dove il limite è trenta chilometri all’ora.