Su Palmira

Questo mio progetto nasce a maggio, senza pensare di eseguirlo in Sardegna.

Ho cultura visiva pubblicitaria e raccolgo oggetti e prodotti che mi ricordano il mio passato personale, che credo sia il soggetto principale della mia opera.

Il tonno Palmera c’è dagli anni 60 così come la sua pubblicità.

Il suo slogan, Fatto o come piace a noi Italiani, come tutti gli slogan, e come quello della Scavolini, non vuole dire nulla, ma è solo un “decoro” di parole che ha la funzione di propaganda.

Su internet, c’è uno scambio interessante fra un lettore e l’azienda che discutono sul messaggio della pubblicità,
http://www.ilfattoalimentare.it/tonno-palmera-immagine-etichetta-trancio-intero-interno-briciole-risponde-azienda.html
per comprendere luci e ombre del mondo della réclame, che credo sia uno dei fenomeni più importanti degli ultimi due secoli (in particolare in Italia ben compreso dal principale attore politico degli ultimi vent’anni).

Conoscendo la pubblicità, non potevo non cogliere la relazione fra Palmera e Palmira, visto che la seconda, dallo scorso maggio, è su tutti i giornali.

Come studente di Storia Orientale all’Università di Bologna, andai nel 1988 in Siria e visitai Palmira, alloggiando all’hotel Zenobia, un albergo fatiscente di epoca coloniale.

In giro c’erano solo ritratti del presidente Assad, vecchie macchine degli anni 50, come a Cuba, e qualche casco blu, nessun turista. Nell’88 in Italia pochi sapevano cosa fosse l’Islam, la Siria e soprattutto, a parte i seguaci di Sabatino Moscati, grande divulgatore dell’archeologia, Palmira.

Ora, che il distratto Occidente, in pochi giorni, abbia assunto Palmira, un sito archeologico remoto da turismo e interesse, quasi come caposaldo della nostra civiltà e memoria, l’ho trovato strano e bizzarro. Mesi fa il noto archeologo Paolo Matthiae, scrisse un articolo sul rischio che corriamo se fosse distrutta Ebla, la città a cui ha dedicato una vita. Ho trovato interessante questo strano incontro -e un po’ forzato- fra i terroristi del presunto Califfato, l’archeologia e l’opinione pubblica. Oltre alla questione del mercato illegale, degli interessi e della banale e orrenda furia distruttrice, i guerriglieri dell’ISIS hanno capito che fa quasi più notizia decapitare una statua antica che una persona. D’altra parte sui nostri media ad ogni terremoto (L’Aquila, Nepal) leggiamo prima la lista della perdita dei monumenti che quella delle persone. E quante volte sulla crisi greca sono state accostate immagini di vasi antichi e la facciata del Partenone. Palmira, da un ammasso di pietre polverose e qualche colonna, nel deserto siriano a 200 km dall’Eufrate, si trova improvvisamente in prima pagina sui nostri giornali. Spontaneamente ho associato i due nomi, così simili, e cosi diversi, ma che entrambi fanno parte da decenni della mia cultura personale, del mio immaginario, della mia esperienza.

Alla fine ho proposto questa immagine che poi si è connessa ad altre questioni a cui non avevo pensato: l’importanza del tonno nella cultura del territorio e che fino a pochi anni fa Palmera era prodotto proprio in Sardegna e non da ultimo la questione “Italiani”, visto che sull’isola ci sono più bandiere coi quattro mori che il tricolore…

Qulcuno mi ha fatto notare che l’opera è equivoca.

Certo è un’opera che potrebbe essere letta in modo equivoco.

Sono nato e cresciuto in una famiglia borghese con una cultura ambigua, che poi, credo, sia quella del nostro Paese. Anzi si potrebbe dire che proprio l’ambiguità è uno dei tratti distintivi della storia Occidentale che oscilla fra il passato Ebraico-Cristiano e la sua secolarizzazione.

E forse proprio questo grande equivoco fra essere post-cristiani che ci mette spesso in crisi e mette ancora più in crisi gli islamici radicali che non capiscono il nostro mondo che ai loro occhi appare equivoco e ambiguo.

Noi però, tutto ciò, lo chiamiamo anche libertà.