In un bell’articolo di anni fa su questo giornale Mario Perniola scrisse una frase emblematica sull’arte contemporanea: … è tale solo se è allo stesso tempo anche meta-arte e anti-arte. Il crescente numero di artisti che lavorano su temi sociali e politici e che hanno come fine una generale sensibilizzazione ai problemi di attualità è un fatto importante di questi ultimi anni. Un’arte che, fra impegno, mancanza di ispirazione poetica e senso di colpa, cerca di informare, denunciare e in fondo educare per cercare, probabilmente, di cambiare il mondo. Tutto ciò induce ad una diffusa credenza che l’arte in qualche modo possa aiutare a risolvere qualche problema concreto. I (rari) bandi pubblici per opere d’arte e progetti pubblici (di solito quando c’è un parcheggio abbandonato o per dare un volto ad una brutta piazza) oramai richiedono risvolti di utilità e partecipazioni cittadine; per avere un sostegno e un finanziamento da enti e fondazioni bisogna ricercare e marcare fini etici, valori aggiunti di tipo sociale, dialogare con la comunità e il contesto, coinvolgere asili, anziani, immigrati, quartieri e periferie. E’ un periodo questo dove il popolo-ismo, oramai abituato a commentare e dare opinioni su ogni panchina e fioriera pubblica, ha gioco ed influisce, ha gusti semplici e vuole belle morali; in fondo il grande successo della Street Art conferma questa tendenza: la star Bansky non è un robin hood che difende i deboli contro i cattivi della globalizzazione? In soldoni, alla politica, dell’arte contemporanea (che spesso porta polemiche e scocciature) importa il giusto e soprattutto non le conviene andare contro il gusto comune e, se proprio ci deve essere, allora che serva a qualcosa. Questo tarlo della pubblica utilità ovviamente condiziona oramai anche gli artisti (ti do opportunità solo se fai opere e progetti che fanno del bene) che tendono a modellare la propria poetica verso un’arte che ha tutte le carte in regola per diventare ideologica. Sono tanti gli artisti che hanno fatto progetti e lavorato in questi anni sul dramma dei migranti (è stato uno dei temi della grande mostra di Firenze della star internazionale Ai Weiwei) e sui barconi di Lampedusa. Da Thomas Kilpper nel 2008 a Hans Schabus nel 2011, ultimamente da Vik Muniz a Béa Kayani, da Jacopo di Cera e Jason deCaires Taylor, da Isaac Julien a Loredana Longo e sono solo una parte (oltre al regista Alejandro Gonzalez Inarritu el’artigiano artista Francesco Tuccio che ha donato una croce di legno fatta con le barche-carcassa al Papa). La domanda dell’artista Massimo Sansavini, da cui è nato il progetto e la mostra sulla tragedia di Lampedusa esposta all’Assemblea Regionale, mi sono chiesto cosa poteva fare un artista di fronte a quello strazio? è un quesito che dà all’artista un compito legato solo alla necessità dell’oggi, all’agenda della cronaca e dei problemi da risolvere. Quando si dice della crisi dell’arte.