Ogni azione di Street Art si relaziona al muro che non è un semplice supporto, ma partecipa a un contesto e a un territorio dove il soggetto è pensato ed eseguito per vivere in quello scenario che per sua natura gli appartiene. I muri parlano perchè hanno una storia e le figure si relazionano a questo immaginario. Un murale vive dell’identità del luogo e molto spesso il murale è la domanda -o la risposta- proprio ad una precisa situazione della sua memoria storica. Un’operazione fatta per esistere nella metropoli alle intemperie – e quindi un giorno svanire – se asportata, anzi strappata, diventa inevitabilmente un’altra cosa. Diventa un oggetto snaturato che sarà artificialmente collocato in un luogo climatizzato (poco importa che sia un museo o un salotto).
La raffinata e soprendente tecnica dello strappo divelle il murale come un foglio e lo fissa su tela; ne fa quindi un quadro e nel cambiare il supporto ne tradisce il significato. Si comprime così uno degli ultimi processi-rituali della nostra epoca in un reperto-testimonianza che diventa, a contatto con il faretto che lo illuminerà, un falso artefatto.
Si pretende un’opera che non nasce come tale, si trasforma un processo con un telaio con l’attaccaglia, si tramuta una visione in un bene da museo a servizio della società con cui la Street Art non vuole avere nulla a che fare.
Tutti i sostenitori di questo progetto, fra l’altro, riportano modelli evidentemente per loro ancora validi (il Partenone al British Museum, l’Obelisco di Axum e l’Altare di Pergamo a Berlino) che non sono certo esempi edificanti, ma storie di dominio e di predazione di un lontano e scomodo passato. L’artista di strada ha un punto di vista diverso, la sua è una scelta consapevole di un campo che ha poco a che fare col sistema dell’Arte, è una scelta di rottura, dove la strada, territorio di conflitti e cambiamenti, non ha mai avuto uno sfondo bianco. La Street Art è antagonista all’Arte.
Qualcuno tira dentro Pinturicchio e Botticelli, insomma si è fatto sempre così sembra dire, ma oltre ad essere diversi i tempi e i contesti, sono soprattutto i fini molto differenti, semplicemente perchè la Street Art non si pone in linea di continuità con l’Arte. Ed è quello che in sostanza dice Dado uno street artist che parla da street artist e subito puntualizza, tanto per essere chiari, che dopo l’esperienza di Frontier, il progetto di Street Art promosso dal Comune di Bologna, molti artisti di strada a Bologna non ci mettono più piede perchè la Street con l’istituzione non ci va tanto d’accordo. Che una fondazione bancaria, che per sua natura vede l’opera come un valore materiale e da collezione, stia creando una collezione -senza acquistarla- approfittando della grande confusione che regna attorno ai concetti di autore, proprietà, opera, legalità e conservazione è un forte segno dei tempi. Ai non-autori, ultimi guerrieri indomiti con i loro suoni di vernice variopinta, si manifesta un destino tragico e imminente che ne mina l’esistenza. Come un nuovo virus, come una nuova malattia in un organismo senza anticorpi, lo strappo pianificato celebra definitivamente il funerale della Street.