Per il restauro del Gigante ci vogliono ancora 150 mila euro da aggiungere ai quasi 700 mila di inizio lavori perchè il Nettuno, e la sua fontana, hanno problemi seri. Cifra anche contenuta considerando che a Firenze dal 2016 al 2018 spenderanno quasi il doppio per il maquillage di quello in marmo di Piazza della Signoria (meno male che il David di Michelangelo accanto è una copia). Visitando il cantiere del Nettuno bolognese si ha l’impressione, complice il pagamento di un biglietto e l’impalcatura-torre occultata da veli, di essere in una specie di grande teca che cela una reliquia a cui, amorevolmente, tecnici solerti si adoperano con infinite cure. La liturgia che sovrintende la santa pratica ha un intervallo di circa trent’anni, tempo limite – pena danni irriversibili – per la salma di bronzo e la sua fontana in marmi. Il restauro presente – si apprende – è più lungo del previsto perchè quello della fine degli anni Ottanta si è scoperto in parte inefficace: occorrono così nuovi balsami e unguenti. È un’eloquente vicenda, a tinte religiose, tutta italiana che impiega lavoro, analisi, studi e capitali per conservare e consolidare, disperatamente, contro pioggie acide, anidride solforosa, polveri sottili e assalti goliardici – epocale e scandaloso fu il bagno di massa con topless dentro la fontana nella notte Mundial del 1982 – un’idea di perferzione e bellezza. Sull’esempio del David, della statua equestre di Marco Aurelio e dei quattro cavalli di San Marco, si potrebbe invece fare una bella copia del Nettuno per evitare questo rituale dispendioso che continuerà in eterno e che non sarà mai risolutorio. Il monumento originale offrirebbe, poi, un’inedita possibilità: dentro uno specifico padiglione coperto, il complesso potrebbe essere collocato in periferia e comunque fuori dalle mura. Questa operazione avrebbe un’importante implicazione per cui la città acquisterebbe uno nuovo luogo-fondazione con un vecchio simbolo. Due nuove presenze, quindi, la copia nel classico luogo e l’originale in un nuovo centro. Forse non comprendiamo che il nostro impasse è proprio nei nostri simboli del passato che danno false sicurezze, vani appigli troppo comodi che da tempo hanno perso smalto e che oggi vanno ripensati. Si tratterebbe di rompere un incantesimo per rifondare una nuova origine con uno spostamento. Il nuovo padiglione col Nettuno –il prossimo anno saranno 130 anni dall’audace Expo dei Giardini Margherita- diventerebbe un punto differente capace di altre e diverse possibilità con echi internazionali. Resterebbe solo da aprire le danze del lungo dibattito sull’inedito spazio da individuare in periferia o, come si dice, fuoriporta.