Francesca Bertazzoni – Come immagini e quindi descriveresti la figura di uno spettatore (ovvero pubblico) ideale che entra in contatto, si relaziona con il tuo lavoro? Ovvero quali caratteristiche peculiari vorresti possedesse? Se ci hai mai pensato prima, altrimenti prova a farlo ora.
Flavio Favelli – Devo dire che lo spettatore è come un’idea. Per me è più una presenza astratta. A pensarci bene non ho mai fatto fotografare una mia opera, anche se ho fatto ambienti e luoghi pubblici, con delle persone, proprio perché credo che l’arte abbia a che fare con una cosa vicina alla non realtà. Come dice Mario Perniola è arte, anti -arte e meta-arte allo stesso tempo. Il pubblico è un potenziale, è come se ci dovesse essere idealmente ma in realtà non c’è. E’ come il nemico, i Tartari, è come se ci fosse, ma non arriva mai.
FB – Cercando tra i tuoi ricordi di spettatore d’arte mi descriveresti almeno un’esperienza forte e le ragioni per cui la ritieni tale? Ovvero del tuo incontro con un’opera, sia essa oggetto, performance, evento, allestimento, testo, ecc… che nel bene o nel male ti ha sorpreso e che a distanza di tempo ti riporta esattamente a quel luogo, quelle sensazioni (sorta di effetto Madeleine).
FF – Nel Museo per la Memoria di Ustica a Bologna. L’opera è l’aereo e poi successivamente Boltanski ha fatto un’altra opera sul quell’aereo. Già di per sé l’aereo è un totem, un capro espiatorio immolato nel conflitto fra due mondi, quello Occidentale e del Patto di Varsavia o se si vuole fra due visioni differenti, oppure ancora fra dei deliri di quegli anni…