Flavia Montecchi
Che fine fanno i luoghi della tua arte una volta terminata la mostra?
Flavio Favelli
Non so e non ci penso. Alla fine credo sia importante il progetto, l’opera, la foto della sua documentazione e il suo significato. Sicuramente i luoghi che scelgo sono importanti per molti motivi, sempre comunque motivi poetici.
FM
In una recente intervista pubblicata sul tuo sito, affermi che: “nell’arte si è soli. Non c’è nessuna parte da temere se non fare i conti con sé stessi”. Sembra che non hai una buona considerazione del pubblico, affermi che spesso sia meglio non esista affatto. Cosa ti spinge a questa affermazione, se poi la tua arte trova spazio ed espressione soprattutto in luoghi vissuti dalle persone e dal “pubblico sociale”?
FF
Il pubblico è una convenzione. Ci deve essere, ma è come che non ci sia. Un po’ come quando da bambino giocavo dall’altra parte della casa, era importante che ci fosse mia madre, ma non doveva poi rompere le scatole. In tutte le foto di documentazione delle mie opere ambientali e in qualche modo “vivibili” non ci sono mai delle persone e questo vorrà dire qualcosa. Il pubblico, poi, oggi è la gente che si è scrollata di dosso il lezzo del popolo e va coi profumi di gran marca. Solo vivendo da quasi vent’anni in un paesino dell’Appenino ho capito la profonda ignoranza e idiozia della gente. Non ho una grande considerazione del pubblico. Per risponderti: dei luoghi pubblici mi interessa lo status e poi quando penso ad un luogo lopenso sempre vuoto, non sono un artista dell’arte pubblica, che vuole il bene del paese, della società e del mondo, l’arte è lontana da queste cose.
FM
Sempre mantenendo il tema del rapporto tra pubblico e artista, rivendichi in varie occasioni la presenza dell’artista contemporaneo e la sua chiamata in causa in manifestazioni di carattere culturale, che prendono spunto dall’arte senza però poi effettivamente coinvolgere gli artisti (la passata edizione del Festival di Filosofia, come citi tu stesso).
Indipendentemente dalla contraddizione che noto (vedi la domanda precedente), secondo te perché non si interroga l’artista?
FF
Distinguerei comunque il mondo dell’arte oramai assuefatto dalle mostre e dalle fiere ed eccitato solo dalle aste, dalle preview e dagli aneddoti e curiosità sugli artisti e un pubblico che partecipa a dibattiti e conferenze con interesse. Nell’esempio che ho fatto ho notato che si è invitato un imprenditore (di idee conservatrici sull’arte) e non un artista perché si dà per scontato che l’artista possa parlare solo con le sue opere. Nelle conferenze e dibattiti – quei pochi che ci sono – c’è sempre un moderatore che appunto modera l’artista che a sua volta parla come un curatore noioso: gli artisti oggi blaterano qualcosa fra l’apocalittico e il rivoluzionario, ma poi lavorano programmati e precisi per rifornire le gallerie che fanno una dozzina di fiere l’anno e questo non può non incidere su una categoria che è diventata solo imprenditoriale. Quindi un po’ è colpa degli artisti, un po’ della società della cultura che è interessata all’artista solo quando è un maestro. Poi tutti a citare Pasolini (saranno almeno una ventina gli artisti che hanno fatto opere su PPP) dimenticando che allora si criticava e litigava a viso aperto mentre oggi più dei sorrisi tirati dei vernissage non si va…
Non dovrebbe, il suo lavoro, essere già esplicito se inserito in un contesto espositivo selezionato e attento, con una direzione artistica di referenti reali? Mi spiego: nel caso del festival della Filosofia, mancava forse una direzione artistica nella selezione e organizzazione delle mostre temporanee. O no?
FF
L’artista pone delle questioni complicate e deve essere la fonte principale per la sua opera; il suo punto di vista deve essere ancora importante: nonostante oggi gli artisti siano fini imprenditori e lavorino esclusivamente con rivenditori autorizzati in mercati coperti dovrebbero essere gli unici che eseguono prodotti senza una strategia di mercato. L’artista visivo sarebbe l’unico nella società di oggi che davanti alla tela, al pavimento o al muro, pensa, vede e realizza un prodotto senza preoccuparsi di studi di marketing, senza la preoccupazione di vendere quello che fa ad un (fottuto) soggetto prossimo con mille desideri differenti. Il frullatore degli eventi nell’arte travolge tutto e all’artista deve essere data la possibilità di discutere e parlare del suo punto di vista che non può essere completamente sostituita da quello della direzione artistica. La situazione è comica: da più parti si evoca il ritorno dell’artista-scienziato del passato e dall’altra si fa partecipare l’artista solo alla mostre. (Voglio ricordare una specie di ritornello che spessissimo viene pronunciato da artisti, critici e vari professori quando qualcuno sottolinea il fortissimo potere del mercato che travolge ogni cosa nell’arte: l’arte – la sentenza inizia sempre così – è sempre stata in mezzo alla moneta e al mercato, leggete le lettere dei grandi del passato, parlano sempre di soldi… (il famoso Libro dei Conti del Guercino). E’ ovvio che questa è una grande sciocchezza, in quale campo ci comportiamo come se vivessimo nel 1600? Questi si sentono moderni, ma vogliono gli usi e costumi dei tempi del passato. Il critico (e ovviamente il curatore) è il garante che certifica che l’opera è d’arte ed è colui che la colloca in una tradizione di storia dell’arte, ma questo non può essere l’unico punto di vista sull’opera.
FM
Queste domande – e quelle che ti ho posto durante il nostro incontro – evidenziano come il tuo fare arte sia ricco di contraddizioni, istanza per me molto stimolante e sinonimo di movimento.
Sei con il pubblico e in mezzo al pubblico, ma ti esprimi a partire da un contesto familiare che rende il tuo creare molto individuale e solitario – per certi versi. Agisci in luoghi pubblici o apri al pubblico i tuoi luoghi (privati). Che tipo di artista ti definisci? Ma soprattutto, quando hai cominciato a chiamarti e o a giudicarti “artista”? Parlami del ruolo che ha per te questo nome, consapevole del fatto che non leghi l’arte alla politica.
FF
Beh non è vero che non lo lego alla politica. Non lo lego ad un significato politico preciso, ma la questione politica è ampia con grandi confini. E’ più politico Santiago Sierra o Giorgio Morandi? Solo un pubblico poco attento e superficiale può dire con certezza il primo. L’arte è preziosa perché è uno strumento che riesce a farci “saltare” dal binario, è il luogo della legittimazione dell’alterità, è una zona franca che nella modernità assume il ruolo di contraltare alla vita regolare coi diktat della società. Se i significati di questa zona franca coincidono con la realtà è la fine: gli artisti dell’arte pubblica vogliono l’arte giusta e schierata e così presuppongono che esista una differenza fra il giusto e l’ingiusto, come la Chiesa con il bene e il male. Il mio progetto Gli Angeli degli Eroi riassume il mio punto di vista. Da un’immagine di mio nonno militare, dalla mia attrazione per le divise – che tengo a distanza – indago il mondo della guerra che ioncontro l’immaginario dello Stato e del Presidente della Repubblica: l’artista più fa gli affari suoi, più fa gli affari del mondo.
FM
Che ruolo deve avere l’artista oggi?
FF
Beh deve in qualche modo rompere le scatole, perché oggi le scatole sono sempre di più. Da un po’ di mesi sto tentando di scrivere sull’arte sui giornali, ho chiesto un blog a Repubblica e al Corriere. Niente da fare non lo danno. Ecco che ruolo deve avere quello che non gli permettono di essere.
FM
C’è un artista con cui sei cresciuto e che ti senti abbia fatto parte della tua formazione?
FF
Mio padre per il fatto che si sentiva artista, si sentiva un poeta. Ma poi, come si dice, ha perso la testa, ammesso che gli artisti non la debbano perdere. Dico questo perchè voglio sempre riportare tutto alla mia famiglia, alla mia storia privata che sono le mie immagini e che sono le immagini del mio tempo, perchè l’artista più fa gli affari suoi, più fa gli affari del mondo.