Nonostante l’allargamento di Via Rizzoli, le Due Torri non si vedono bene.
Anche stando in mezzo alla strada, l’Asinelli è soffocata dai palazzi e la Garisenda è coperta: queste due grandi colonne arcaiche non si vedono in modo completo e pulito. Bisognerebbe spostarle.
Finita l’era delle Torri Gemelle, ci rimangono queste di Bologna, per la verità più sorelle. Anche se per i bolognesi sono simpatiche e rassicuranti, le Due Torri hanno qualcosa di sinistro e spettrale. Se togliamo la coroncina merlata alla sommità e gli archi con portico alla base dell’Asinelli, comunque postumi, ci appaiono insieme come due pilastri arcaici.
Oltre che dalle lucine del Natale, i due monoliti dall’origine misteriosa, di un minimalismo quasi moderno, sono state addobbate con gabbie di ferro appese, per condannati che si consumavano al vento e al sole.
Bisognerebbe mirarle nella loro solitudine al centro di un grande spazio.
Forse l’irragiungibile fama che ha nel mondo la Torre di Pisa è data proprio dalla sua collocazione, oltre che dalla pendenza, dall’immagine con cui viene sempre presentata, compresa l’introvabile scheda telefonica Sip, che la raffigura quasi isolata, sempre con un prato verde attorno e con un cielo azzurro intenso di sfondo. La gentilezza della struttura e il candore del marmo fanno il resto. Le nostre, invece, rimangono inespresse, quasi soffocate dalla città.
Collocarle nel mezzo della piazza dell’VIII Agosto le renderebbe finalmente visibili e l’operazione avrebbe importanti implicazioni: la città acquisterebbe uno nuovo luogo con un vecchio simbolo e la piazza di Porta Ravegnana diventerebbe uno spazio inedito con nuove prospettive: certo il senso di smarrimento sarebbe importante, ma subito compensato dai portici della chiesa vicina, interstizi quasi privati; il vuoto sarebbe solo apparente in un largo fra i più intimi del Paese.
Le due grandi placche-otturazioni in bronzo segnerebbero l’operazione necessaria.
Anziché una perdita, sarebbe solo uno slittamento di luogo e di senso che porrebbe delle nuove questioni. La città avrebbe due punti di riferimento diversi, ma uniti. Una nuova mancanza e una nuova presenza legate da un fondamentale segno di memoria collettiva. Una specie di Ground Zero ma senza crolli, senza attacchi, senza traumi e senza morti. Non si comprende che il nostro impasse è proprio nei nostri simboli del passato che danno false sicurezze, vani appigli che da tempo hanno perso la loro forza. Sono immagini esaurite che vanno ripensate. Si tratta, quindi, di rompere un incantesimo per rifondare una nuova origine. E non si può certo iniziare dalle altre due T.
* Testo originariamente scritto per il quotidiano La Repubblica (ed. Bologna), non pubblicato